Un "Diamante grezzo" ... da custodire e far crescere
- Redazione Signum
- 17 mag 2018
- Tempo di lettura: 4 min
Aggiornamento: 2 giu 2018
di madre Filomena Rispoli, fdcc.
Il dono di un fratello o una sorella che ci aiuti a camminare con Dio

Chi è chiamato al ministero non è “padrone” della sua vocazione, ma amministratore di un dono che Dio gli ha affidato per il bene di tutto il popolo, anzi di tutti gli uomini, anche di coloro che si sono allontanati dalla pratica religiosa o non professano la fede in Cristo. Al tempo stesso, tutta la comunità cristiana è custode del tesoro di queste vocazioni, destinate al suo servizio, e deve avvertire sempre più il compito di promuoverle, accoglierle ed accompagnarle con affetto. Dio non cessa di chiamare alcuni a seguirlo e servirlo nel ministero ordinato. Anche noi, però, dobbiamo fare la nostra parte, mediante la formazione, che è la risposta dell’uomo, della Chiesa al dono di Dio, quel dono che Dio le fa tramite le vocazioni. Si tratta di custodire e far crescere le vocazioni, perché portino frutti maturi. Esse sono un “diamante grezzo”, da lavorare con cura, rispetto della coscienza delle persone e pazienza, perché brillino in mezzo al popolo di Dio. La formazione perciò non è un atto unilaterale, con il quale qualcuno trasmette nozioni, teologiche o spirituali. Gesù non ha detto a quanti chiamava: “vieni, ti spiego”, “seguimi, ti istruisco”: no!; la formazione offerta da Cristo ai suoi discepoli è invece avvenuta tramite un “vieni e seguimi”, “fai come faccio io”, e questo è il metodo che anche oggi la Chiesa vuole adottare per i suoi ministri. La formazione di cui parliamo è un’esperienza discepolare, che avvicina a Cristo e permette di conformarsi sempre più a Lui.
Papa Francesco, Discorso alla Plenaria della Congregazione per il clero, 03.10.14
Vorrei accostarmi al tema dell’ACCOMPAGNAMENTO attraverso la metafora del “diamante grezzo”, facendo qui non una trattazione esaustiva sul tema, ma soffermandomi solo su alcuni aspetti, evocati pure dal testo Il dono della vocazione presbiterale.
Perché il diamante grezzo possa risplendere occorre un’opera di “cura” che attraversa vari passaggi: occorre ascoltare ed aiutare il soggetto ad ascoltar-si, per potersi e sapersi raccontare, per cogliere la preziosità di quel diamante che – essendo grezzo – rischia di non apparire – alla persona interessata e agli altri – in tutto il suo splendore.
Ma il diamante cos’è?
Dal contesto in cui ne parla papa Francesco il diamante risulta essere la vocazione e – in specie – la vocazione presbiterale, affidata alla cura di tutta la comunità cristiana; possiamo però fare un’inferenza, senza timore di forzare il pensiero di papa Francesco?
Potremmo parlare anche della VITA come diamante grezzo che chiede di essere riscoperto e risignificato, ripulito delle scorie e fatto brillare? E potremmo parlare di OGNI VOCAZIONE, come di un diamante che per brillare necessita dell’opera di più “mani” allo scopo di disvelarne appieno il valore in tutte le sue sfaccettature? Potremmo, inoltre, dire che IN QUALSIASI ETÀ e fase della vita risulta necessaria e imprescindibile la compagnia di un fratello o una sorella che ci aiuti a ri-focalizzare la volontà di Dio per noi come qualcosa di estremamente prezioso e fragile allo stesso tempo?
Se ciò è vero, è necessaria una formazione permanente o continua per tenere “in una corretta manutenzione” la vita, ai vari snodi che essa ci offre. Per tutti infatti – consacrati/e, coppie, o semplici battezzati – è richiesta la consapevolezza che la vita cristiana, la propria consacrazione e il proprio matrimonio esigano una cura costante, una revisione periodica, un confronto onesto con uno sguardo esterno. E se ciò è più evidente nel momento della lotta, della prova, della tentazione, è seriamente necessario che non si arrivi a tale evidenza solo in situazioni di emergenza ma che nell’ordinarietà si scelga di lasciarsi accompagnare.
Sembra però che sia faticoso rimanere nella disponibilità a lasciarsi correggere e verificare. In età adulta, soprattutto, o quando ci riteniamo particolarmente eruditi sul tema, tanto da essere “maestri” per altri, noi tutti diventiamo più suscettibili dinanzi ad interventi esterni sulla nostra vita.
Sembra quasi impossibile lasciare a qualcuno il potere di dirci: “Tu sei quell’uomo” come fece Natan col re Davide dopo il suo peccato con Betsabea e l’omicidio di Uria l’Ittita.
(Cfr. Morra Stella, Un altro sguardo in https://atriodeigentili.wordpress.com)
Un percorso di accompagnamento spirituale è dunque tutt’altro che usuale, anche se formalmente sembra ambito e richiesto.
Scegliere di lasciarsi accompagnare è innescare un cambiamento di mentalità che, solo, ci permette di riconoscere le ferite, le fragilità, i limiti, come quegli spiragli che Dio usa per entrare nella nostra vita, nella nostra storia e trasformarla.
A tale dinamica mi sembra riconducibile l’invito del testo Il dono della vocazione presbiteraleal n. 94, laddove consapevolezza di sé e capacità di raccontarsi, onestà del confronto ed elaborazione del limite, diventano le piste fondamentali perché i giovani candidati al ministero possano effettuare un primo passo del loro percorso iniziale[3]. Non solo. Tali elementi mi sembrano precisamente quegli aspetti imprescindibili di un reale cammino di crescita che ogni persona, in ogni vocazione e ad ogni tappa del proprio percorso, è chiamata a coniugare insieme ad una sincera ricerca del volto di Dio e ad un ascolto obbediente della sua voce.
Raccontarsi ha effetti positivi: dà nuova armonia agli eventi, re-interpreta una storia non sempre accettata e compresa, trova una nuova trama di lettura capace di integrare anche ciò che provoca dolore. L’obiettivo del racconto non è quello di conservare la memoria per corazzarsi contro gli eventi critici del domani ma, al contrario, quello di aprirsi con più disponibilità al futuro, così che la vita acquisti un nuovo e più profondo senso.
Bottura, Il racconto della vita in Tredimensioni 2 (2015)
Imparare la modalità corretta e la possibilità di potersi “consegnare” nella fede e con apertura di cuore ad un fratello, o sorella, è anche la condizione più efficace per diventare ciascuno a sua volta un mediatore libero e grato di quella grazia che Dio ha racchiuso nel farsi carico dell’altro.
Comments