Il Venerabile Augusto Bertazzoni
- Redazione Signum
- 23 apr 2021
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Nasce a Polesine, nella diocesi di Mantova il 10 gennaio 1876, in una famiglia benestante. Nel 1887 trascorre un anno a Torino dove incontra San Giovanni Bosco, da cui prenderà il motto sacerdotale Da mihi animas, coetera tolle. Famosa la grande profezia che lo stesso Don Bosco fece sul piccolo Augusto: un giorno come tanti, mentre giocava nel cortile dell'oratorio, inavvertitamente andò a scontrarsi proprio contro di lui. Augusto preoccupato per una ramanzina chiese immediatamente scusa, ma il santo accarezzandogli amabilmente la testa gli disse: «Che bella testolina da mitria», profetizzando la sua elezione a vescovo.

Ordinato sacerdote nel 1899, celebra i suoi primi anni di ministero con zelo, pietà e bontà, fino a quando viene nominato arciprete a San Benedetto Po, il più grande paese della diocesi, con una della parrocchie più complesse, soprattutto perché centro pulsante del socialismo mantovano.
Con il suo esempio, la carità operosa e un’abile capacità amministrativa, riesce a trasformare questo luogo così anticlericale in un ambiente ricco di fede e preghiera con una partecipazione attiva alla vita parrocchiale dell’intera comunità senza distinzioni sociali e politiche.
Nel 1930 è nominato vescovo di Potenza e Marsico Nuovo, e consacrato nello stesso anno nella chiesa dove è stato parroco per ben 25 anni. La diocesi era senza vescovo da ben 5 anni e la città usciva dalla prima guerra mondiale ed era nel pieno della seconda. Subì i bombardamenti dei tedeschi in ritirata e degli americani in arrivo, che rasero al suolo anche l'episcopio e danneggiarono fortemente la cattedrale. In questa situazione difficile, Bertazzoni prende dimora nel seminario vescovile fatiscente. Infatti nella relazione della commissione storica si dirà che:
«Mons. Bertazzoni veniva in una diocesi ed in mezzo ad una popolazione profondamente segnate dal territorio difficile, da monti e valli e terremoti e frane, da grandi solitudini e grandi distanze e grandi silenzi: e questo condizionerà molto la sua opera di Pastore, ma renderà più apprezzabile l’immane fatica di questo vescovo che abbracciò questa terra e questa gente e seppe servirle ed amarle con eroico sacrificio e dedizione umile e generosa».

Fino al 1940 compie per tre volte la visita pastorale in tutte le parrocchie della diocesi per fare sentire la vicinanza del pastore a tutto il suo gregge, anche a dorso di un mulo e utilizzando i mezzi pubblici. Si dedica a ristrutturare tutte le chiese della città di Potenza, in modo particolare la cattedrale. Mette in piedi una capillare opera di catechesi, promuovendo anche congressi mariani ed eucaristici che porteranno al grande congresso eucaristico interdiocesano del 1951.
Da vero pastore della sua gente, accompagna i laici dell'Azione Cattolica, visita scuole e asili. Durante la seconda guerra mondiale, si prodiga ad aiutare e proteggere gli ebrei presenti nel territorio diocesano, dando numerosi aiuti materiali e sociali e non allontanandosi dalla città martoriata dalla guerra. Durante il suo mandato, più volte è promosso a sedi ambite, ma il suo amore per la diocesi affidata lo trattiene facendo rifiutare ogni altra meta.
Partecipa a tutte le sessioni del Concilio Ecumenico Vaticano II al termine del quale presenta formale rinuncia. Ciononostante, non abbandona la sua città, ritirandosi accanto alla cattedrale in un appartamento privato della Banca d’Italia. Lì muore il 30 agosto 1972, a 96 anni, e viene sepolto tra i suoi figli, nella cattedrale di Potenza, dove ancora oggi è possibile recarsi sulla sua tomba per rivolgersi in preghiera.
La causa di beatificazione fu aperta dall’arcivescovo Ennio Appignanesi nel 1995 e il 12 Marzo 2019 la Congregazione delle Cause dei Santi ha espresso parere pienamente positivo sull'eroicità delle virtù, aprendo la strada alla dichiarazione di venerabilità.
La santità della sua vita è tutt’ora visibile e riscontrabile non solo dalle numerose attività da lui realizzate, come l’opera salesiana nella città di Potenza, ma anche e soprattutto dalle testimonianze di sacerdoti e laici impegnati che lo ricordano con grande affetto e stima.
Ne ricordiamo tre che ben riassumono l’operato del vescovo mantovano: la prima di don Vito Forlenza come giovane seminarista, la seconda di don Michele Ruggieri da giovane presbitero, la terza quella di Maria Donata Galasso da laica impegnata nell’Azione Cattolica.
Così lo descrive don Vito:
«Voglio ricordare Bertazzoni nei miei anni di seminarista, in quanto da sacerdote lo vedo sotto una diversa luce. Da seminaristi andavamo liberamente a trovarlo nella vecchia abitazione dove c’è il Sacro Cuore.
Si entrava senza avvisarlo, lui, parroco, diventato vescovo agiva da parroco.
In estate ci radunava, noi seminaristi, e passava una giornata con noi. Ci parlava di san Giovanni Bosco, delle sue relazioni con il santo […]. “Monsignore”, così lo chiamavano, ma quella parola non indicava chi comanda, ma colui che serviva ed era disponibile con tutti. A tavola mangiava con i contadini e rideva di cuore alle sue battute, mai un rimprovero durante la mia vita da seminarista».
La seconda testimonianza è quella di don Michele Ruggieri:

«Ho conosciuto mons. Bertazzoni negli ultimi anni della sua vita, agli inizi del mio ministero presbiterale, è veramente bello ricordare oggi dopo circa 44 anni i molti, frequenti momenti in cui accoglieva nella sua abitazione o nel suo studio noi giovani sacerdoti con la familiarità e l’affetto del padre o del fratello maggiore, sempre sollecito e pronto, con tratto gioviale, sorridente e confidenziale, a sostenerci ed incoraggiarci nelle difficoltà del primo ministero sacerdotale.
Due espressioni ed immagini erano spesso ricorrenti nelle sue omelie: quella del combattimento, a cui è chiamato continuamente il cristiano, in questo mondo guasto corrotto e corrompitore, e quella dell’alpinista che con impegno faticoso riesce a superare gli ostacoli.

Il fatto di avere origine mantovane, di provenire da città settentrionale con diverse tradizioni culturali, non ha costituito un limite, ma piuttosto una spinta, una motivazione in più per essere dalla parte della gente, a partire dai più bisognosi».
Dalle queste due testimonianze comprendiamo quanto abbia avuto a cuore sia i giovani in formazione che i novelli presbiteri, accompagnandoli come un vero padre e mostrandosi per loro il buon Pastore da imitare.
La terza testimonianza ci mostra come in un’epoca difficile, Bertazzoni era già molto attento alla partecipazione attiva dei laici nella vita della diocesi, dando ampio spazio alle donne, tra queste spicca Maria Donata Galasso (1909-1976), che entra in contatto con tutte le autorità religiose della regione, tra cui Delle Nocche e Cavalla, grazie proprio all’apporto del venerabile che la inserì pienamente nell’Azione Cattolica.
Per concludere,
sia dalla sua vita sia dalle testimonianze, emerge l’immagine del buon Pastore che si è donato pienamente al gregge che il Signore gli ha affidato fino a spendersi senza riserve.
Nello stesso tempo, grazie a lui e anche al suo coraggio, nella diocesi di cui è stato guida ha avviato processi che ancora oggi danno i loro frutti e per tale motivazione non può che essere un modello per qualsiasi persone che intraprende la via del sacerdozio.
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